Le eresie

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Il cristianesimo nascente è caratterizzato da un’estrema varietà, determinata dai diversi rapporti con il giudaismo e con il mondo politeista attraversato dalle missioni dei “gentili”, nonché dal diverso modo di riferirsi al Cristo nelle comunità primitive. Le Lettere di Paolo e gli Atti di Luca recano testimonianza di conflitti e delle differenze sussistenti tra la teologia degli scritti giovannei e quella dei Vangeli sinottici. Si potrebbero moltiplicare gli esempi, tenendo conto anche dei più antichi scritti cristiani, in seguito definiti “apocrifi”. Le tante “Chiese” costruivano la loro identità; gli individui, e con essi le dottrine e le usanze, circolavano, mentre trovavano espressione aspirazioni all’unità. Dal momento che le “Chiese” vivevano il presente come l’imminenza della fine, i tumulti nati dalle diverse correnti venivano interpretati sempre come altrettanti segnali dell’arrivo dell’ora suprema: basti pensare all’intervento dei “falsi profeti” descritti dalla tradizione apocalittica. Tuttavia, dal momento che la parusia (i] ritorno del Cristo) tardava a manifestarsi e che il cristianesimo si preparava a diffondersi in un mondo che non percepiva più come estraneo, esso era costretto a rappresentarsi i suoi conflitti interni come inevitabili in una società Fondata su una certa stabilità e ad aggiungere ai criteri di delimitazione ed esclusione derivanti dal suo retaggio originale modelli ripresi dall’universo circostante.

art_4650_1_Spiezer_Chronik_Jan_Hus_1485[1]L’opposizione tra “eresie” e “ortodossia” fu il risultato del rafforzarsi delle strutture istituzionali. Nel IV secolo, Eusebio di Cesarea impose l’immagine, destinata a perdurare nel tempo, dell’unità originaria della Chiesa, minacciata da “eresie” apparse solo in un secondo momento. Una visione che, salvo poche eccezioni, ha permeato la storiografia fino al XX secolo, fino a quando non è stata sconvolta da Walter Bauer e dal suo tentativo di dimostrare che le correnti definite “eretiche” erano in realtà maggioritarie nel II secolo, mentre erano minoritarie le tendenze retrospettivamente considerate “ortodosse”. La tesi di Bauer, sebbene contestabile in molti punti, è in accordo con lo sviluppo delle teorie delineatesi qualche decennio fa in seguito alle scoperte sullo gnosticismo, come la biblioteca copta di Nag Hammadi (in Egitto), che hanno permesso di esaminare senza pregiudizi la letteratura cosiddetta “apocrifa”, e a una maggiore e più approfondita comprensione dei rapporti tra cristianesimo e giudaismo nei primi secoli. Una delle debolezze della tesi consiste però nell’aver mantenuto il binomio eresia-ortodossia, e di non aver abbandonato quindi i concetti elaborati dall’apologetica.

La nozione di eresia si precisa infatti a metà del I secolo, attraverso una descrizione unificante degli errori destinata a divenire in seguito strumento di polemica, e di cui testimonia in primo luogo l’opera dell’apologeta (e martire) Giustino. L’adozione di un comune modello di esclusione ebbe luogo nel momento in cui la Chiesa cercava di farsi riconoscere affermando la propria autenticità secondo i diversi modi di pensare di coloro che voleva convincere. Il Trattato contro tutte le eresie che si sono prodotte di Giustino è andato perduto, ma le allusioni che l’autor e stesso vi fa nell’Apologia e nel Dialogo con Trifone, come pure alcune tracce presenti in Ireneo di Lione, permettono di ricostruire la sua eresiologia. Prima di Giustino, il termine hairesis era stato ripreso dai greci per designare, in senso deprecatorio, tendenze divergenti, come nella Lettera di Paolo ai galati e nella sua prima Lettera ai corinzi. Già negli Atti degli Apostoli — dove il termine viene generalmente usato, in conformità alle usanze dei giudei ellenizzati, per indicare in termini neutrali le correnti del giudaismo —, comunque, vi compare un accenno negativo. Nella seconda Lettera di Pietro, uno degli scritti più tardi del Nuovo Testamento, haireseis al plurale è usato nel senso di “dottrine perniciose”, e il termine hairetikos che compare nella Lettera a Tito attribuita a Paolo è decisamente peggiorativo. Un’accezione, questa, che si accentua ancora di più nelle lettere di Ignazio di Antiochia.

A essere nuovi, in Giustino, sono da un lato il rafforzamento del senso restrittivo del termine applicato ai “falsi profeti” e all’origine diabolica dci promotori di disordini, e dall’altro l’adattamento polemico all’eresiologia cristiana di schemi propri della storiografia di epoca ellenistica e imperiale utilizzati per riferirsi alle “scuole” filosofiche. Riassumendo, si può dire che Giustino approfittò del senso vago di “scuola di pensiero” assunto dal termine hairesis nei trattati Peri haireseiòn (Sulle eresie) a partire dalla seconda metà del II secolo a.C., distinguendola dalla scuola istituzionale, scholè, di cui nelle opere intitolate Successioni dei filosofi, di poco precedenti, a proposito delle quattro scuole di Atene (Accademia, Liceo, Giardino, Portico). L’analogia così stabilita da Giustino tra “scuole” filosofiche e “sette” cristiane dava modo di non definire cristiani coioro che aderivano all’iniziativa di esseri umani pervertiti e, sulla base del motivo giudaico e cristiano di falsa profezia, di origine demoniaca; l’analogia dava oltretutto modo di avanzare la tesi che faceva di Simon Mago il padre di tutte le eresie e di rendere plausibile una genealogia delle “sette”. Fu così che nacque l’eresiologia.

Ireneo ne sistematizzò e ne irrigidì il contenuto, deridendo le “scuole” e avanzando il sospetto dell’influenza della filosofia, grazie al quale Tertulliano avrebbe visto in seguito in Platone il padre delle eresie. Nel III secolo si giunse al metodo illustrato dalla Denuncia di tutte le eresie dello Pseud Ippolito, che identificava ogni “setta” con un sistema pagano, poi, nel IV secolo, alla summa eresiologica, perfezionata da Epifanio nel suo Panarion o Cassetta dei rimedi. Persino i Padri più favorevoli alla filosofia, come Clemente Alessandrino e Origene, sfruttarono al massimo la valenza accusatoria del termine “eresia”. Il quale, a partire da allora, divenne un’accusa capitale nei dibattiti teologici e nei conflitti istituzionali in seno alla Chiesa. Quando l’Impero divenne cristiano, la legislazione pubblica imperversò contro i sospetti di eresia, come è attestato dal Codice teodosiano e, più tardi, dal codice giustinianeo.

Lo strumento eresiologico venne forgiato da Giustino e perfezionato da Irene in un’epoca in cui il cristianesimo veniva attraversato da due grandi crisi, provocate rispettivamente da Marcione e dagli “gnostici”: il primo, rifiutando il retaggio giudaico e la legge biblica, istituiva una Chiesa rivale; i secondi allegorizzavano la Scrittura e rivendicavano l’accesso a una conoscenza pura che li collocava al di sopra dei “semplici» e dei pastori che li guidavano, in tal modo contestando radicalmente le autorità delle istituzioni di cui la Chiesa si stava dotando. Lo strumento venne all’epoca completato con la tematica della “successione” autentica, abbozzata da Giustino nel contesto della controversia con il giudaismo e non senza qualche eco del modo con cui il fariseismo aveva elaborato a proprio beneficio la continuità della trasmissione della Torah a partire da Mosè. Al tempo di Irene, d’altro canto, la rottura con il giudaismo era ormai consumata, e i cristiani accusati di giudaizzare erano messi al bando e qualificati eretici. Sia pure indirettamente, l’influenza di rappresentazioni di origine giudaica continuò a essere avvertibile nella teoria della successione autentica risalente agli apostoli e al Cristo: continuità istituzionale e normativa ritenuta veicolo della tradizione di verità, unica e pura, contrapposta all’apostasia e ai dissensi degli “eretici”. Fu ancora con Ireneo che si profilò la costituzione di un canone del Nuovo Testamento, altra colonna portante dell’ortodossia sulla quale la Chiesa, nella sua conquista dell’unità, fondò la propria autorità.

L’insieme delle norme che sfruttarono l’ortodossia venne sancito nel IV secolo, quando i difensori del concilio di Nicea, nei documenti ufficiali, opposero l’orthodoxia all’eresia ariana. Quanto all’aggettivo “ortodosso”, a partire da quel momento esso qualificò la fede della Chiesa, in contrapposizione a quella che veniva denunciata come eresia, che si trattasse di giudizi in materia di dottrina, di scritti, di vescovi o di semplici adepti della regola di fede esplicitata e confermata dai concili ecumenici.

Fonti bliografiche

Storia del cristianesimo di A. Corbin
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