Capire la Bibbia

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Qualità che bisogna avere per comprendere la Bibbia

Nonostante la validità dei motivi e la bontà dei metodi, lo studio delle Scritture risulterà inutile se mancheranno le giuste disposizioni mentali in chi a tale studio si accosta. Ne esaknowing-or-understanding_350_234_80[1]mineremo le più significative, senza avere la presunzione di averle elencate o risolte tutte.

Disponibilità ad apprendere. Per apprezzare ciò che la Bibbia dice, occorre che coloro che la studiano o la leggono abbiano una mentalità da discente, da alunni cioè. La tentazione di “far da maestri” è piuttosto diffusa in ogni branca del sapere e, stranamente, più uno è ignorante e più pretende di conoscere, e d’insegnare. Per studiare la Bibbia proficuamente è invece necessario convincersi che è Dio che ci sta parlando, tramite Cristo o gli Apostoli, personaggi che hanno l’autorità e la capacità d’insegnare. In religione, disciplina mai del tutto esplorata, ci sarà sempre qualcosa che s’ignora degli altri e dell’altrui fede o pratica. Per fare la volontà di Dio, non ci si chiede di studiare le religioni del mondo, ma di ascoltare la Sua Parola. E sintomatico che siano proprio gli studiosi più assidui e più preparati (i quali hanno dedicato la propria vita all’approfondimento delle cose di Dio) a dimostrare grande rispetto per la Bibbia accompagnato dalla necessaria umiltà a recepirne il messaggio. Ogni persona intelligente e onesta ammetterà che nessuno sa tutto, e che ciascuno non conosce mai abbastanza.

Amore per la verità. La ricerca della verità con spirito umile mette in moto aneliti di sincera ricezione. Molti purtroppo partono col piede sbagliato, quando cercano nelle Scritture tutto e solo quello che si armonizzi alle proprie inamovibili vedute. Il rischio della presunzione si accompagna all’ostinazione che non fa ammettere i propri sbagli, specialmente in coloro che interpretano in modo del tutto soggettivo e con grande faciloneria certi passaggi delle sacre Scritture. Molti altri si accostano alla Bibbia condizionati dalle proprie tradizioni e in tal modo guardano con ostilità a tutto ciò che non si attaglia a quelle. I Farisei che Gesù rimproverava perché “annullavano la Parola di Dio a motivo delle loro tradizioni” non furono i primi nè gli ultimi a respingere la verità solo perché non coincideva con la propria preventiva visione. La tradizione risulta sempre trainante dei sentimenti di chiusura per la novità, ma spesso è proprio la tradizione a essere un fatto innovativo! Altro pericolo che si annida in ciascuno di noi è la rapidità e la facilità con cui rimproveriamo agli altri la mentalità tradizionalista e magari non ci accorgiamo di quella che si sta facendo strada in noi! Altri ancora danno la precedenza alla pratica, relegando la teoria in posizioni subalterne. Se è vero che il Cristianesimo praticato acquisisce maggior rispetto, non dobbiamo dimenticare che se non è la dottrina a impostare la pratica, sarà la pratica a condizionare la dottrina, spalancando le porte a qualunque possibile innovazione, accettata e ratificata solo perché è ritenuta cosa buona. La verità biblica non va bistrattata né asservita alla propria causa. L’uomo non deve adattarla a se stesso, bensì adattare se stesso a quella.

Disponibilità all’investigazione. L’amore per la verità acquisita non deve accecarci la mente al punto di non farci più ricercare ulteriori avanzamenti. Se una nuova verità che dovessimo scoprire nella Parola fosse tale da disturbare le nostre precedenti idee su un determinato soggetto, non si dovrebbe apportare alcun impedimento alle necessarie modifiche. Non solo dobbiamo nutrire rispetto per l’eventuale verità scoperta, ma sentire anche il desiderio di esplorare nuovi soggetti, che quindi dovrebbe diventare una norma. Insomma, ciò che Dio dovesse dirci deve predominare su ciò che potessero averci detto gli uomini. Non si debbono temere le nuove situazioni, se queste si armonizzano meglio al modello biblico.

Apertura all’associazione. La preghiera personale e lo studio individuale danno gioiosa serenità, ma soddisfazioni non meno rassicuranti possono provenirci dallo studio della Scrittura fatto in gruppo, in comunità. Qualcuno ha giustamente definito la Bibbia il libro della Chiesa. La Bibbia infatti richiama la chiesa alle proprie responsabilità, offre le necessarie direttive per la vita di tutti i giorni e costituisce l’unico modello cui rifarsi per la dottrina e la pratica aderenti alla volontà divina. Gli studi di gruppo sono una moderna conquista, secondo le più avanzate teorie della psicologia che affermano che ii potenziale mentale di un collettivo è maggiore delta sommatoria dei singoli potenziali mentali del gruppo stesso. Questa verità psicologica è ancora più appariscente ove si consideri che in una riunione di studio biblico in comunità c’è sempre un ospite in più: il Signore! Quando studiamo da soli ci imbattiamo in qualche scoglio che non riusciamo a superare, può subentrare lo scoraggiamento. Quando invece siamo in gruppo, troviamo la forza di proseguire la ricerca, perché ciò che uno ignora potrebbe essere conosciuto da qualcun altro.

Prontezza all’ubbidienza. Siccome lo scopo vero dello studio della Bibbia è quello di mettere poi in pratica i concetti rivelati da Dio, ne discende che l’ubbidienza costituisce la logica risposta che l’uomo può dare all’Eterno (Giovanni 7:17). Spesso si fa strada nello studente un vivo desiderio di ubbidire, ma l’attuazione pratica di tale desiderio viene subito frustrata dal timore di aver magari precipitato le conclusioni; per cui attende lumi da qualcuno che, al contrario, potrebbe non avere lui stesso recepito luce sufficiente a spingerlo a decisioni di ubbidienza. Questa dipendenza da altri è estremamente pericolosa, in quanto delega all’uomo anziché al Signore l’incarico della guida. E allora potrebbe avvenire proprio quello che Gesù rimproverava ai suoi contemporanei i quali, anziché studiare le Scritture nella consapevolezza di ascoltare la voce dell’Eterno, affidavano ai maestri umani la chiave della scienza, venendosi di fatto a trovare nella condizione dei ciechi che si lasciavano guidare da altri ciechi (Matteo 15:14). II Signore non ha rilasciato alcuna patente di guida ai maestri umani: preti, rabbini o pastori che siano!

Deferenza per l’autorità delle Scritture. Lo studio della Bibbia si può affrontare a vari livelli: v’è chi la legge con piacere, ma considerandola solo un libro di narrativa. Ci sono infatti talune parti, come ii libro di Giobbe, di elevato valore letterario. La Bibbia però non è un racconto, né un romanzo. Le lettere di Paolo, ad esempio, pur toccando profondità di pensiero, mancano di stile; la ragione risiede nel fatto che l’apostolo non scriveva per lettori esigenti dal punto di vista letterario, ma si dirigeva alle chiese, preoccupato per la piega dottrinale ch’esse stavano prendendo. Altri si dilettano nella lettura della Bibbia soprattutto per le descrizioni di cui è ricca la sua storia. L’A.T., nonostante i ritrovamenti archeologici, rappresenta una miniera di informazioni riguardo alla vita dei popoli del Medio Oriente antico. Anche se tali studiosi non si accostano alla Scrittura come al Libro di Dio, danno pur sempre un grosso incentivo alla comprensione del testo, in quanto le loro opere di altissimo valore storico e scientifico ci hanno consentito di conoscere lingua, geografia e storia delle tradizioni giudeo-cristiane e in definitiva hanno contribuito ad accrescere la conoscenza dei costumi di allora.

Tali metodi di accostamento sono però inadeguati perché non realizzano lo scopo che la Bibbia stessa si propone.

Essa dichiara di possedere autorità divina e tale argomento va affrontato seriamente, perché una simile pretesa o va respinta oppure accettata. La Chiesa di Cristo ha fatto la propria scelta decidendo di affidare alla Scrittura la direttiva trainante dei fedeli. Per tale ragione la Bibbia va studiata attentamente e con piena cognizione di causa.

Ci sono due aspetti relativi all’autorità della Scrittura che meritano di essere esaminati.

Il primo è che l’autorità della Bibbia consiste nel fatto che Dio continua a parlare agli uomini. La Scrittura è semplicemente il resoconto della fede e dell’esperienza di coloro che furono i primi cristiani, ma Dio parla ancora tramite la Bibbia, che dev’essere perciò considerata l’insostituibile strumento della costante rivelazione di Dio agli uomini.

Il secondo è che l’autorità della Bibbia non può confinarsi a un concetto teorico, ma deve tradursi in opere di ubbidienza nella vita della Chiesa e degli individui. L’autorità della Scrittura non si evidenzia quando mettiamo il libro in bella mostra di sé nella libreria o quando ne impariamo a memoria i passi più significativi, ma quando la facciamo funzionare in noi e nella nostra vita quotidiana.

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