Uomini… cuja língua é uma espada afiada. (salmão 57:4)
Quem espalha calúnias é um tolo. (Provérbios 10:18)
Ci sorprende che un grande servitore di Dio come l’apostolo Paolo sia stato costretto a difendere la sua autorità apostolica e perfino il suo diritto di essere considerato apostolo del Signore. E così è avvenuto, e questo ci conferma che un servitore del Signore per fedele che sia, raramente è esente da critiche. I detrattori sono sempre esistiti; vuoi per gelosia e invidia, vuoi per quella costante azione del nemico volta ad intralciare il lavoro del Signore e specialmente l’opera di evangelizzazione. Paolo non aveva seguito Gesù come Pietro, Giovanni e gli altri, non era stato un suo discepolo quando il Signore era in vita; ma il Signore gli era apparso dalla gloria, l’aveva chiamato e gli aveva dato l’incarico di andare tra gli stranieri e portare il Vangelo della grazia di Dio.
Paolo sapeva di essere fedele, e arriva a dire che non gli importava di essere giudicato dai credenti di Corinto e che, Pelo contrário, non si giudicava neppure da se stesso perché non aveva coscienza di alcuna colpa (1 Corinthians 4:3-4).
Le critiche fanno sempre male e, specialmente per chi fatica per il Signore, sono un peso difficile da portare. Al capitolo 9 Paolo scrive:
“Non sono apostolo? Non ho veduto Gesù, il nostro Signore? Se per altri non sono apostolo, lo sono almeno per voi; perché il sigillo del mio apostolato siete voi, nel Signore”.
E então, nella seconda lettera, apre il suo cuore ai cari fratelli di Corinto ed elenca una serie di eventi e di caratteristiche morali sufficienti a raccomandare lui e i suoi collaboratori “come servitori di Dio”, e tanto evidenti da non dare adito a dubbi sulla loro chiamata. Teniamo sempre presente l’esortazione di Giacomo: “Non sparlate gli uni degli altri, irmãos… tu, chi sei che giudichi il tuo prossimo? ” (Giacomo 4:12).