di Michele Buonfiglio
1. LE AFFERMAZIONI DEL DARWINISMO:
No 1859, Charles R. darwin, all’età di 50 anos, pubblicò la sua opera più famosa: On the Origin of Species by Means of Natural Selection (L’origine delle specie per mezzo della selezione naturale), nella quale affermava che le specie sono soggette a variazioni (evolucionismo). Quattro sono i concetti fondamentali dell’opera di Darwin:
- Le specie sono soggette a variazioni;
- Il processo evolutivo è lento, graduale, continuo e non presenta salti o bruschi cambiamenti;
- Tutti gli organismi discendono da un comune e unico antenato;
- La formazione di una specie è dovuta esclusivamente all’azione della selezione naturale.
De acordo com Darwin, riassumendo, la selezione naturale (the survival of the fittesi) attraverso un processo evolutivo graduale, lento e continuo (gradualismo), permetterebbe la formazione di nuove specie meglio dotate. In questo articolo esamineremo le critiche di paleontologi, biologi e genetisti ai quattro punti fondamentali del darwinismo.
2. LE SPECIE SONO SOGGETTE A VARIAZIONI:
Quando parliamo di evoluzione biologica occorre fare una distinzione fondamentale tra microevoluzione e macroevolução. O microevoluzione è l’insieme dei piccoli cambiamenti che si osservano nell’interno di una popolazione.[1] Il genetista Sermonti scrive: «La microevoluzione […], cioè le variazioni delle frequenze dei geni nelle popolazioni […] è un fenomeno superficiale, piuttosto ovvio».[2]
La microevoluzione può spiegare le piccole modiche entro la specie, nonché l’origine delle razze e delle specie affini. Pensiamo, por exemplo, alle diversificazioni dei fringuelli delle Galápagos, che hanno portato alla formazione di 14 specie di fringuelli. Naturalmente, trattandosi di microevoluzione, le variazioni si svolgono entro limiti ben stabiliti, producendo solo nuove razze o specie affini.
O macroevoluzione è invece l’insieme dei cambiamenti evolutivi di grande portata che sarebbero accaduti durante lunghi periodi di tempo. Non è cosa facile ricostruire il passato. Lo studio dei processi macroevolutivi è oggetto di accese discussioni da parte dei paleontologi e dei genetisti.
Il paleontologo evoluzionista Eldedgre scrive: «Alla macroevoluzione fa da contrappeso la microevoluzione […]. Il dibattito verte su questa domanda: i tradizionali processi microevolutivi darwiniani sono sufficienti a spiegare l’intera storia della vita? Per gli ultradarwinisti, lo stesso termine macroevoluzione suggerisce automaticamente una risposta affermativa. A loro giudizio, la macroevoluzione implica l’azione di processi — anche genetici — che per ora sono sconosciuti, ma che si devono immaginare come generatori di una spiegazione soddisfacente della storia della vita. Ma la macroevoluzione non deve reggere necessariamente un carico concettuale così pesante. Nel suo significato di base, vuol dire semplicemente evoluzione su larga scala».[3]
3. IL PROCESSO EVOLUTIVO È LENTO, GRADUALE E CONTINUO:
Eldredge scrive: «Alla domanda: “Che cosa accade alle specie quando l’ambiente cambia?”, la risposta standard dell’epoca post-darwiniana divenne: “Evolvono”. Le specie subiscono un processo di trasformazione per arrivare a soddisfare le nuove condizioni. In mancanza di ciò, sono destinate a estinguersi. Qui l’immaginazione contrasta con il buon senso e, peggio ancora, con la realtà empirica. Con il vantaggio di circa 130 anni di minuziosa analisi post-darwiniana del mondo naturale, è ormai più che chiaro che nella stragrande maggioranza dei casi in risposta al cambiamento ambientale le specie si spostano, vanno a vivere in un altro luogo […] È questo l’inseguimento dell’habitat (habitat tracking), che prosegue incessantemente, generazione dopo generazione, nell’ambito
di ogni specie sulla faccia della Terra».[4] Quando poi le specie non riescono a trovare un habitat adatto, si estinguono.
Eldredge e il biologo-paleontologo Gould hanno fatto notare che «i paleontologi sono rimasti attaccati al mito
della trasformazione adattativa graduale anche di fronte alla prova evidente del contrario. La responsabilità per il mancato inserimento nel quadro dell’evoluzione della realtà empirica della stasi[5] è dovuta, per lo più, alla riluttanza dei paleontologi a incrociare le armi con la tradizione darwiniana».[6]
Nonostante le obiezioni fatte da Eldredge e Gould, Mas, «gli ultradarwinisti continuano a perpetrare blandamente il mito originario secondo cui la selezione naturale più la variazione ereditabile più il tempo portano inevitabilmente al cambiamento».[7]
4. TUTTI GLI ORGANISMI DISCENDONO DA UN COMUNE ANTENATO:
Questo terzo punto, per essere considerato valido, dovrebbe anch’esso trovare conferma nella documentazione fossile, ma anche se gli ultradarwinisti affermano che la macroevoluzione sia un fatto ormai accettato da tutti, essa in realtà non trova conferma nella documentazione fossile. «In che cosa», scrive il genetista Sermonti, «consisteva questo fatto? Per ognuno che non fosse specialista di paleontologia, il fatto era ovvio: la graduale derivazione delle specie dalle forme microscopiche, su su fino ai Vertebrati, ai Primati, all’Uomo».[8] Scrive sempre Sermonti: «La testimonianza fossile della prima comparsa dei viventi (metazoi) era precedente di trent’anni all’opera di Darwin ed era stata fatta da Roderick Murchinson nel 1830. Egli aveva trovato che nelle rocce fossilifere, riferite al periodo Cambriano […] si trovavano fossili di tutti i tipi di viventi, mentre gli strati sottostanti non contenevano tracce di vita […] La scoperta di Murchinson non è stata contraddetta, e, cento anni dopo di lui, il geologo G.G. Simpson la confermava […] I tipi fondamentali dell’organizzazione biologica compaiono improvvisamente e tutti insieme, e permangono fino al giorno d’oggi. Questo è un fatto che bisogna fare un bello sforzo per chiamare gradualismo evolutivo».[9]
Il paleontologo Fondi scrive: «Tra i fatti che scaturiscono dall’esame diretto della documentazione paleontologica, quello che forse lascia più sconcertati è l’improvvisa apparizione all’inizio del periodo Cambriano, cioè agli albori dell’eone Fanerozoico, di una fauna marina ricchissima e straordinariamente eterogenea, da includere rappresentanti della maggior parte dei phyla animali a noi noti: Protozoi, Archeociati, Poriferi, Celenterati, Brachiopodi, Molluschi, Anellidi, Artropodi ed Echinodermi. Ciò risulta tanto più enigmatico quando si considera l’assenza praticamente completa di fossili nelle formazioni rocciose sottostanti […] che formano l’ossatura principale di tutti i continenti […] Per più di un secolo e mezzo si è cercato con assiduità e speranza negli affioramenti pre-fanerozoici di ogni continente […] ma il risultato complessivo di tutto questo lavoro è stato magro e desolante».[10]
Le stesse cose affermano, nel loro libro, il paleontologo Garassino e il geologo Stoppato: «Tuttavia, de repente, negli strati inferiori dell’Era Paleozoica le testimonianze fossili scompaiono quasi completamente. Se gli strati del Cambiano (primo periodo dell’Era Paleozoica) conservano una grande varietà di organismi […] negli strati immediatamente sottostanti la documentazione paleontologica manca».[11]
Un altro punto debole di questo terzo punto del darwinismo è sicuramente la mancanza nella testimonianza paleontologica di stadi intermedi (i cosiddetti «anelli di congiunzione») tra una classe animale e l’altra.
5. LA FORMAZIONE DI UNA SPECIE È DOVUTA ESCLUSIVAMENTE ALL’AZIONE DELLA SELEZIONE NATURALE:
Sermonti osserva che la funzione principale della selezione naturale «è quella di eliminare gli anormali, i marginali, i trasgressivi e di normalizzare la composizione delle popolazioni naturali, un ruolo chiaramente conservativo […] un processo di difesa della specie dalle deviazioni […] Dal punto di vista molecolare, cioè della variazione nel testo del DNA, la mutazione è il fenomeno per eccellenza, l’errore di copiatura […] La cellula possiede meccanismi di riparo della mutazione, e l’organismo opera processi eliminatori dei mutanti che comprendono la selezione e la sessualità. Senza queste difese la mutazione distruggerebbe in breve tutti i testi genetici. In ogni caso il suo compito, poiché i biologi molecolari la pretendono cieca, è demolitiva».[12]
Sermonti osserva: «A questo punto sorge legittima la domanda: tutte le variazioni […] riequilibrate dalla selezione o da essa eliminate o ignorate, hanno qualche cosa a che vedere con l’evoluzione o con l’adattamento delle specie? Sono esse il materiale dell’evoluzione? Ebbene não. Quello di cui la teoria neo-darwiniana ha bisogno sono le famose mutazioni favorevoli (adattative). Di esse nessuna traccia […] Noi cerchiamo un gene novo, prodotto dalla mutazione, che si faccia largo nella popolazione per il suo effetto benefico, sostenuto dalla selezione. E non uno ma innumerevoli di questi geni. E questi non si sono mai presentati».[13]
La selezione naturale ha avuto un ruolo importante nella storia della vita, ma esattamente quello opposto al compito immaginato da Darwin: essa ha piuttosto conservato stabile e funzionale il materiale genetico esposto all’avaria dei millenni.
Sermonti conclude dicendo che «la biologia molecolare ha prodotto una rivoluzione molto più profonda di quella che da essa ci si poteva attendere […] ha dimostrato il carattere sostanzialmente astorico della vita […] Migliaia di batteri volteggiano invisibili nell’aria intorno a noi. Essi contengono la vita in tutta la sua complessità biochimica. Nella loro inavvertibile presenza c’è non già il germe della vita, ma la vita intera con tutte le sue innumerevoli costellazioni funzionali […] Sotto molti aspetti un batterio (e più in particolare un’alga azzurra) è una struttura vitale più completa di un mammifero, che per crescere ha bisogno di utilizzare strutture biologiche preformate […] Ma come e dove è iniziata una vita più completa? Non lo so io […] O lettura della natura ci presenta questa vita già completa e ci dimostra l’impossibilità di immaginarne una più elementare».[14]
Sono tali le difficoltà da sormontare e le coincidenze favorevoli da presumere, affinché la selezione naturale possa veramente considerarsi come l’agente che forma le nuove specie, che è praticamente impossibile farne la causa della comparsa della grande varietà dei viventi.
Ogni teoria scientifica, per essere considerata valida, deve essere provata sperimentalmente, invece nel caso del darwinismo ci troviamo di fronte a diverse anomalie, e cioè le seguenti:
■ Una delle anomalie riguarda una macroevoluzione che richiede l’azione di processi sconosciuti, che devono essere immaginati.
■ Un’altra anomalia riguarda la trasformazione adattativa graduale che è diventata un mito al quale restano aggrappati gli ultradarwinisti, nonostante che i paleontologi abbiano provato il contrario.
■ Un’altra anomalia ancora riguarda una selezione naturale che ha un ruolo esattamente opposto a quello immaginato da Darwin, un ruolo di mantenimento che ha conservato il materiale genetico esposto all’avaria dei millenni.
■ Un’ultima anomalia riguarda un’evoluzione, No fim, prodotta dal puro caso che si limita a mettere insieme materiali senza sapere che cosa sta facendo e senza alcun fine predeterminato.
Tutto ciò non ha alcun senso e sicuramente non avrebbe potuto formare né piante, né animali e né l’uomo, esseri viventi così ben organizzati da richiedere necessariamente un progetto definito nei minimi particolari.
[1]. La popolazione è l’insieme degli individui della stessa specie che vivono geograficamente isolati.
[2]. Giuseppe Sermonti, La luna nel bosco (Rusconi, Milano 1985), p. 11.
[3]. Niles Eldredge,
Ripensare Darwin (Einaudi, Torino 1999), p. 127.
[4]. Ibid., pp. 66s.
[5]. Per «stasi» si intende che le specie, lungi dall’evolversi, rimangono relativamente immutate per tutta la durata della loro esistenza.
[6]. N. Eldredge, op. cit., pp. 66, 71. Corsivo nostro.
[7]. Ibid., p. 106. Corsivo nostro.
[8]. G. Sermonti, op. cit., p. 13.
[9]. Ibid. pp. 13s.
[10]. Giuseppe Sermonti – Roberto Fondi, Dopo Darwin (Rusconi, Milano 1982), pp. 190s.
[11]. Alessandro Garassino – Marco Stoppato, Fossili (Mondadori, Milano 2003), p. 70.
[12]. Giuseppe Sermonti, Dimenticare Darwin (Rusconi, Milano 1999), pp. 9-11.
[13]. G. Sermonti – R. Fondi, Dopo Darwin, p. 52.
sul letto di morte Darwin si pentí amaramente della sua teoria. purtroppo non é stato il suo pentimento a circolare, ma la sua teoria. nonostante il palese pentimento