Jesus från Nasaret, fonti e notizie
Come ci è nota la vita di Gesù di Nazareth?
Gesù ha parlato, ma non ci ha lasciato nessuno scritto: non ci è pervenuto nessun documento da lui redatto. Le fonti storiche di cui disponiamo sono tutte indirette, ma sono anche moltissime. La più antica è rappresentata dalle lettere dell’apostolo Paolo, databili tra l’anno 50 och den 58. Vi si dà atto della morte del Nazareno per crocifissione e della fede nella sua Resurrezione; all’apostolo, dessutom, era nota una raccolta di «parole del Signore», che utilizzava nelle sue argomentazioni. Vennero
in seguito i Vangeli: prima quello di Marco, redatto verso il 65, sulla scorta di tradizioni risalenti agli anni quaranta; poi quelli di Matteo e di Luca, compilati tra il 70 e l’80 amplificando il vangelo di Marco; infine quello di Giovanni, risalente al 90-95. Non si tratta di cronache storiche, bensì di scritti che raccontano la vita del Nazareno, in una prospettiva di fede tale da presentare però simultaneamente i fatti e la loro lettura teologica. Vangeli più tardivi assenti dal Nuovo Testamento, i cosiddetti apocrifi, contengono inesattezze ed errori storici soprattutto il Vangelo di Pietro (120- 150), il Protovangelo di Giacomo (150-170) e il Vangelo copto di Tommaso (attorno al 150). Non sono poi rare le fonti non cristiane, abbiamo tantissime fonti extrabibliche che ci parlano della vita e del ministero di Gesù, compresa la sua resurrezione. Lo storico ebreo Josefus Flavius, nelle sue Antichità giudaiche (93-94) han påstår:
Ci fu verso questo tempo Gesù, uomo saggio, se è lecito chiamarlo uomo: era infatti autore di opere straordinarie, maestro di uomini che accolgono con piacere la verità, ed attirò a sé molti Giudei, e anche molti dei greci. Questi era il Cristo. E quando Pilato, per denunzia degli uomini notabili fra noi, lo punì di croce, non cessarono coloro che da principio lo avevano amato. Egli infatti apparve loro al terzo giorno nuovamente vivo, avendo già annunziato i divini profeti queste e migliaia d’altre meraviglie riguardo a lui. Ancor oggi non è venuta meno la tribù di quelli che, da costui, sono chiamati Cristiani (Josefus Flavius, Antichità XVIII, 63-64).
Cornelio Tacito, probabilmente il riferimento più importante a Gesù al di fuori del Nuovo Testamento, scrive:
Nerone si inventò dei colpevoli e sottomise a pene raffinatissime coloro che la plebaglia, detestandoli a causa delle loro nefandezze, denominava cristiani. Origine di questo nome era Christus, il quale sotto l’impero di Tiberio era stato condannato all’estrema condanna dal procuratore Ponzio Pilato (Tacito, Annali XV, 44).
Alla pena vi aggiunse lo scherno: alcuni ricoperti con pelli di belve furono lasciati sbranare dai cani, altri furono crocifissi, ad altri fu appiccato il fuoco in modo da servire d’illuminazione notturna, una volta che era terminato il giorno. Nerone aveva offerto i suoi giardini per lo spettacolo e dava giochi nel Circo, ove egli con la divisa di auriga si mescolava alla plebe oppure partecipava alle corse con il suo carro. [I cristiani] erano annientati non per un bene pubblico, ma per soddisfare la crudeltà di un individuo.
Un’altra importante fonte di prove storiche su Gesù e sui primi Cristiani si trova nelle lettere di Plinio il Giovane all’imperatore Traiano. Plinio fu allievo del famoso retore Quintiliano, ed era il governatore romano di Bitinia, in Asia Minore, e del Ponto. Scrive sui cristiani:
Essi avevano l’abitudine di incontrarsi in un certo giorno prestabilito prima che facesse giorno, e quindi cantavano in versi alternati a Cristo, come a un dio, e pronunciavano il voto solenne di non compiere alcun delitto, né frode, furto o adulterio, né di mancare alla parola data, né di rifiutare la restituzione di un deposito; dopo ciò, era loro uso sciogliere l’assemblea e riunirsi poi nuovamente per partecipare al pasto – un cibo di tipo ordinario e innocuo”(Plinio, Epistole, trad. di W. Melmoth, revis. di W.M.L. Hutchinson, vol. II, X,96).
Circa le molte calunnie contro i Cristiani (su cui aveva anche fatto leva Nerone per accusarli dell’incendio di Roma), il cartaginese Quinto Settimio Fiorente Tertulliano (160-222 cirka), avvocato e letterato, dichiarò espressamente che esse non avevano nulla a vedere con i motivi delle sentenze di morte:
Le vostre sentenze muovono da un solo delitto: la confessione dell’essere cristiano. Nessun crimine è ricordato, se non il crimine del nome. In fin dei conti, che cosa leggete dalla tavoletta? ‘Egli è cristiano.’ Perché non aggiungete anche omicida?”.
l retore scettico Luciano, nato a Samosata intorno al 120 e morto dopo il 180, attivo nell’età degli Antonini, ci ha lasciato un’opera intitolata “La morte di Peregrino”. In essa, egli descrive i primi Cristiani nel seguente modo:
I Cristiani . . . tutt’oggi adorano un uomo – l’insigne personaggio che introdusse i loro nuovi riti, e che per questo fu crocifisso. . . . Ad essi fu insegnato dal loro originale maestro che essi sono tutti fratelli, dal momento della loro conversione, e [därför] negano gli dèi della Grecia, e adorano il saggio crocifisso, vivendo secondo le sue leggi” (Luciano, De morte Per., 11-13, trad. di H.W. Fowler).
Nel Talmud giudaico infine, si trovano, più tardive, una quindicina di allusioni a «Yeshou», in cui si dà atto della sua attività di guaritore e della sua condanna a morte per avere traviato il popolo:
Alla vigilia della Pasqua [ebraica], Yeshu fu appeso. Per quaranta giorni prima dell’esecuzione, un araldo . . . gridava: “Egli sta per essere lapidato perché ha praticato la stregoneria e ha condotto Israele verso l’apostasia (Talmud Babilonese, trad. di I. Epstein, vol. III, 43a/281; cfr. Sanhedrin B, 43b).
La ricostruzione della vita di Gesù è stata oggetto di indagini letterarie minuziose; come per tutti i personaggi dell’Antichità, e possiamo avere relativa certezza delle seguenti affermazioni:
- Gesù nacque in una data ignota, che potrebbe essere l’anno 4 prima della nostra era (prima della morte di Erode il Grande).
- Venne battezzato nel Giordano da Giovanni Battista.
- Al pari di Giovanni, attendeva l’imminente venuta di Dio nella storia e condivideva la convinzione che, per essere salvati, non bastasse appartenere al popolo di Israele: era indispensabile praticare l’amore e la giustizia.
- Verso i trent’anni, Gesù era un predicatore popolare che riscuoteva un certo successo in Galilea.
- Gesù è risorto tre giorni dopo essere stato crocifisso.
Gesù è esistito ed è un fatto oggettivo e accettato da tutti, e per noi cristiani, è anche risorto. Abbiamo tante prove, non solo fideistiche, a sostegno di questa affermazione. Tante sono le fonti extrabibliche (anche di pagani) che riferiscono della resurrezione di Gesù.
Ben più dei rabbi (dottori della Legge) dell’epoca, insegnava con un linguaggio semplice; le sue parabole si rifacevano al contesto familiare dei suoi ascoltatori (la campagna, il lago, la vigna) per esprimere la meraviglia di un Dio vicino e accogliente. Gesù semplificava l’obbedienza alla Legge incentrandola, come altri rabbi prima di lui, sull’amore per il prossimo. I suoi numerosi atti di guarigione fecero di lui un guaritore di talento e apprezzato. Con il suo gruppo di seguaci, conduceva vita itinerante; il gruppo veniva nutrito e alloggiato nei villaggi in cui faceva tappa. Oltre a una stretta cerchia di dodici galilei, lo accompagnavano uomini e donne che condividevano il suo insegnamento quotidiano. A causarne la rovina fu la sua salita a Gerusalemme. Nel tempio, Gesù commise un gesto “violento”, un atto profetico destinato ad attirargli l’ostilità dell’élite politica di Israele: rovesciò i banchi dei venditori di animali destinati al sacrificio, per protestare contro la moltiplicazione dei riti che si interponevano tra Dio e il suo popolo. Su istigazione del partito sadduceo, fu allora deciso di denunciare Gesù al prefetto Ponzio Pilato come promotore di agitazioni popolari. Intuendo che l’ostilità avrebbe avuto la meglio, Gesù prese congedo dagli amici durante un ultimo pasto insieme (l’Ultima Cena) nel corso della quale definì il rito di comunione con il suo corpo e il suo sangue: il pane spezzato e la coppa alla quale tutti bevvero, a simboleggiare la sua prossima morte e a celebrazione della sua memoria. Dopo l’arresto, facilitato da Giuda, uno dei discepoli, Gesù fu condotto dinanzi al prefetto, condannato a morte e consegnato ai legionari che lo crocifissero. La sua breve agonia, durata solo qualche ora, meravigliò Pilato: l’uomo di Nazareth doveva essere di debole costituzione. Poco dopo la sua morte, si diffuse la voce che i suoi discepoli lo avevano visto vivo e che Dio lo aveva chiamato a sé.
Com’era Gesù?
Gesù di Nazareth era un riformatore, non mirava a creare una religione a sé stante. La sua ambizione era quella di riformare la fede di Israele, come è simboleggiato dalla cerchia dei dodici intimi che Io seguivano, i quali rappresentavano il popolo delle dodici tribù, il nuovo Israele da lui vagheggiato. Gesù voleva riformare la fede giudaica, formare il Patto della Grazia tra Dio e gli uomini, i quali ora, con la sua venuta a portare la salvezza tra gli uomini, non erano più sotto la Legge mosaica. Egli era un mistico, con una profonda esperienza di Dio, era il Figlio di Dio. Per lui così vicino agli uomini che, per pregarlo, bastava chiamarlo «papà» (abba in aramaico). Le sue parole e i suoi gesti sono segnati da un sentimento di estrema premura. L’invito a seguirlo sovvertiva i legami più consolidati: de familj, da cui non era più necessario prendere congedo. Questo attacco ai valori familiari e ai riti funebri dovette essere giudicato assolutamente indecente. L’altro segno della sua urgenza era la necessità di annunciare il Regno di Dio così in fretta che i discepoli ebbero l’ordine di andare a rendere testimonianza senza portare «né borsa né bisaccia, né sandali», e di non salutare «nessuno lungo la strada».
Non meno scioccante fu la sua trasgressione del riposo sabatico. Gesù guarì più volte nel giorno del sabato (shabbat), rivendicando a sua giustificazione l’imperioso bisogno di salvare una vita. Nei suoi commenti alla Torah (la Legge), la raccolta delle prescrizioni divine, l’imperativo dell’amore per il proprio simile mandava in secondo piano ogni altro comandamento; persino il rito sacrificale al Tempio di Gerusalemme era secondario all’esigenza di riconciliazione con il proprio avversario. Nulla più importava, se non l’invito a convertirsi.
Gesù rivoluzionario
I Vangeli e il Talmud ebraico sono concordi nel riferire la scandalosa libertà di Gesù nelle sue frequentazioni. Gesù infatti si mostrò solidale con tutte le categorie sociali emarginate dalla società giudaica del tempo, vuoi per diffidenza, per sospetto politico o per discriminazione religiosa. L’accoglienza che riservava alle donne, ai malati e alle persone emarginate faceva scalpore; riteneva infatti che le regole di purezza, che vietavano ogni contatto con tali persone, fossero in contraddizione con il perdono concesso da Dio. «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori». Gesù non condivideva l’ostracismo che colpiva gli esattori delle imposte per ragioni politiche e i samaritani per ragioni religiose. Ammetteva le donne nella sua cerchia, infrangendo il pregiudizio religioso a cui erano soggette. Si lasciava avvicinare e toccare dai malati, reintegrandoli nel popolo santo mediante le sue guarigioni. Si rivolgeva agli abitanti delle campagne, quel «popolo della terra» denigrato dai farisei per la sua incapacità di attenersi al codice di purezza e di pagare le decime imposte su ogni prodotto.
L’usanza di Gesù di consumare i pasti con i reietti e le donne di cattiva reputazione era il segno più tagliente del suo rifiuto di ogni discriminazione. L’agape non equivaleva soltanto a un’opzione di tolleranza sociale e religiosa, ma anticipava il banchetto della fine dei tempi, radunando tutti coloro che il Regno di Dio avrebbe accolto in futuro. La convivialità con gli emarginati rivelava la speranza di Gesù in un Regno che avrebbe travolto la società del suo tempo: una speranza in contraddizione con la rigida struttura che l’ordine religioso fondato sulla Torah e sui Tempio aveva imposto alla società giudaica. E furono proprio l’attacco alla struttura della religiosità giudaica, giudicato blasfemo, e l’apertura di Gesù agli emarginati ad attirargli l’avversione mortale delle autorità religiose della din epoca.
Gesù il Messia
Se si esclude il Vangelo di Giovanni, che è una tardiva ricomposizione teologica della tradizione di Gesù, i Vangeli più antichi non mettono mai in bocca a Gesù una dichiarazione formulata in prima persona circa la sua identità. «Chi dice la gente che io sia?» domanda ai suoi discepoli; e poi: «e voi chi dite che io sia?» Sulla propria identità, Gesù tace. L’unico titolo che i primi evangelisti sostengono si sia attribuito è “Figlio dell’uomo”, l’antico titolo di colui del quale, fin dal profeta Daniele, Israele attende la venuta sopra le nubi del cielo… Gesù si è riconosciuto in quest’essere celeste venuto da Dio. In compenso, i titoli di “Figlio di Dio”, “Messia”, “Figlio di David” gli sono stati attribuiti dai primi cristiani. Inte konstigt. Gesù aveva evitato di appropriarsi del titolo di Messia, probabilmente perché intriso di aspettative nazionalistiche e di una componente di violenza che Gesù rifiutava. Infatti il Messia che gli Ebrei stavano aspettando era un condottiero di guerra. Ma Dio non volle questo, per cui questo potrebbe essere il motivo per cui Gesù non dichiarò apertamente di essere il Messia: voleva solo portare un messaggio d’amore e di pace. Gesù si lasciava chiamare “Signore”, lasciava che la gente s’inginocchiasse davanti a Lui, tutte cose che secondo la Legge si fanno solo a Dio. Per cui Egli sapeva bene si essere Dio. La frase del Vangelo di Giovanni 1:1-4 è chiarissima su quale fosse la sua natura:
Nel principio era la Parola, la Parola era con Dio, e la Parola era Dio. Essa era nel principio con Dio. Ogni cosa è stata fatta per mezzo di lei; e senza di lei neppure una delle cose fatte è stata fatta. In lei era la vita, e la vita era la luce degli uomini.
E “la Parola” (logos) è Gesù Cristo. Gesù non può essere una creatura di Dio, se era con Dio dal principio del tempi. “Ogni cosa è stata fatta per mezzo di lei” poi, rende l’idea di come sia centrale la figura di Gesù nella storia dell’umanità. Gesù era la vita, Dio era la vita.
Gesù non ha detto chi era, ma lo ha dimostrato con i fatti. Dirlo spetta al credente nella sua professione di fede. L’evento pasquale, che i cristiani chiamano Resurrezione, può essere interpretato come l’illuminazione che i suoi amici ebbero poco dopo la sua morte, quando si accorsero che Dio non stava dalla parte dei carnefici ma da quella della vittima crocifissa. La Pasqua è questo evento con cui gli amici di Gesù si resero conto che ciò che da lui avevano ricevuto, e con lui avevano vissuto, veniva da Dio stesso; e allora proclamarono: «Dio l’ha risuscitato dai morti e di questo noi siamo testimoni».
Bibliografiska källor
Storia del cristianesimo a cura di A. Corbin